Dopo Cupcake e Jelly Bean anche l’ultima versione di Android, la 4.4, prende il nome da un prodotto dolciario, ma con una novità sostanziale: il sistema operativo di Google per smartphone è stato battezzato KitKat, come il popolare snack al cioccolato di Nestlé.
Mentre i dolci associati alle precedenti versioni erano prodotti generici, è la prima volta che il gruppo di Mountain View sceglie un marchio registrato; una scelta tanto significativa quanto inaspettata. Inaspettata in quanto, fino a ieri, il nome che circolava in rete e tra gli stessi sviluppatori del nuovo aggiornamento era Key Lime Pie (l’abbandono di questo nome pare sia dovuto al suo basso livello di appeal, dato che in pochi ne conoscono il sapore); significativa perché svela l’accordo di co-marketing siglato tra Google e Nestlé e tenuto nascosto fino a questo momento. Pare che gli stessi dipendenti di Google siano venuti a conoscenza della notizia solo quando, davanti alla loro sede, è stata eretta la statua di un robot Android fatto di barrette KitKat.
Racconta John Lagerling, global partnership director di Android, che la proposta alla multinazionale svizzera era stata avanzata a Novembre del 2012, ma solo nel mese di Febbraio di quest’anno è arrivata la conferma. Sia Lagerling che Patrice Bula, executive vice president of marketing di Nestlé, sottolineano che tale accordo non prevede operazioni economiche e finanziarie.
La natura puramente promozionale dell’iniziativa può portare a entrambe le aziende grandi benefici in termini di esposizione e di brand awareness: il sistema Android ha ormai raggiunto il miliardo di attivazioni, mentre il marchio Kitkat, distribuito in 19 Paesi, cresce rapidamente sui social media ed è tra i brand di beni di consumo con il più alto numero di fan. L’associazione dei due prodotti così popolari e così diversi tra loro permetterà ai loro produttori di scambiarsi e condividere target e bacini d’utenza.
Per il lancio di Android KitKat, Nestlé distribuirà 50 milioni di confezioni recanti il famoso robottino del logo e contenenti dei voucher con cui si avrà la possibilità di vincere un tablet Nexus 7 e dei crediti da utilizzare su Google Play.
Sebbene sorprenda per l’importanza dei soggetti coinvolti, questo è solo uno degli innumerevoli casi di strategie di co-marketing che aziende diverse attuano per ottenere una serie di benefici. Il co-marketing, o marketing cooperativo, può essere definito come quel processo in cui un’azienda allinea i propri interessi, le proprie risorse e le proprie strategie di marketing a quelle di un’altra impresa appartenente a un settore diverso per ottenere risultati migliori di quelli che raggiungerebbe da sola.
Un esempio recente e abbastanza curioso per due motivi è la nascita del prodotto Philadelphia Milka: primo, si tratta di un episodio di co-marketing interno, dato che entrambi i marchi appartengono al gruppo Kraft; secondo, l’associazione di un formaggio leggero, ideale per chi è attento alla linea, al cioccolato può risultare quanto meno azzardato. L’obiettivo di Kraft è evidentemente inserirsi in un mercato quasi del tutto monopolizzato dalla Nutella di Ferrero.
Numerosi sono poi i casi di firme dell’alta moda che decidono di apporre il proprio nome su alcuni modelli di automobili: Citroen con Pinko e Dolce & Gabbana, Peugeot con Sweet Years e, più recentemente, Fiat 500 con Gucci. Qui l’obiettivo è ottenere un ritorno di immagine grazie allo stile e al prestigio che il nome dello stilista di turno dovrebbe conferire al design dell’auto.
Non sono, tuttavia, solo i costruttori di veicoli a vedere nella moda un valido alleato: anche i produttori di bevande molto popolari tanto in Italia quanto all’estero, come San Pellegrino e Martini hanno deciso di collegare i propri marchi rispettivamente a Bulgari e D&G. Queste associazioni mirano a fondere il mercato del lusso e quello del consumo di massa, elevando il valore della bevanda ed allargando il target di riferimento delle firme.