Semplificando al massimo la sua definizione, si può dire che il marketing consiste nel creare un mercato a un prodotto, dunque fornirgli visibilità e notorietà ai fini della sua vendita. Se quello della vendita era proprio l’obiettivo principale su cui si basavano le varie strategie negli scorsi decenni, sta prendendo sempre più piede una tendenza che si focalizza più in particolare sul rapporto fra il consumatore e il prodotto stesso, quindi anche sulla promessa di utilizzazione e di soddisfazione che esso garantisce: si valorizza cioè l’esperienza vissuta dal cliente, orientandosi sempre di più verso un marketing di tipo esperienziale.
Lo scopo di questo approccio è proprio instaurare una sorta di empatia fra l’azienda e il cliente per aumentare il coinvolgimento di quest’ultimo, in modo che si rafforzino la fidelizzazione e l’identificazione con una certa marca. Tutto ciò deve tener conto che, contrariamente alle concezioni tradizionali, molto spesso l’atto del consumo avviene secondo logiche non razionali e assolutamente non consapevoli. L’utente compra qualcosa non sempre seguendo un ragionamento lineare o delle decisioni prestabilite, dunque il solo ricorso al linguaggio verbale - che appunto si appella alla razionalità - non è più sufficiente a convincere nel profondo il destinatario. Il consumatore non razionale sceglie dunque in base ad altri fattori, tra i quali il principale è l'esperienza che vive quando entra in contatto con il prodotto che intende consumare (o che sta consumando) e con tutte le sue rappresentazioni.
L’attenzione dunque si sposta sull’esperienza, sulla dimensione più istintuale, profonda, sensoriale, percepita del prodotto: cosa si può fare con esso? Quali emozioni consentirà di vivere? Come cambierà alcune abitudini? Le tecniche di marketing più avanzate cercano un rapporto innovativo basato su nuove fonti di coinvolgimento emotivo e su iniziative che contribuiscano a fissare nel consumatore il ricordo di ciò che con il prodotto si può esperire, più che delle caratteristiche del prodotto in sé. Per puntare al “cuore” del cliente più che alla sua “testa” gli si deve vendere anche un’azione, una prospettiva, una possibile emozione: un’esperienza, appunto.
Per aver un chiaro esempio basta pensare alla campagna che sta conducendo Google sui suoi avanguardistici occhiali interattivi: l’oggetto di per sé non è ancora perfezionato, tuttavia la campagna pubblicitaria relativa mostra ciò che con quegli occhialini si potrà fare una volta che il prodotto sarà ultimato e messo sul mercato (scattare foto e girare video coi soli comandi vocali, accedere a informazioni in tempo reale ecc.); è l’esperienza prospettata che cattura l’interesse dell’utente. Allo stesso modo funzionano le campagne legate alle grandi mete turistiche: la descrizione dettaglia dei luoghi passa in secondo piano e invece vengono messe in risalto tutte quelle esperienze (le cene, le avventure, le escursioni, i divertimenti ecc.) che si possono compiere in quei luoghi.
I prodotti, in quest’ottica di marketing esperienziale, smettono di essere puri oggetti e diventano motori di situazioni di vita più complesse: la scarpa sportiva trasformerà il consumatore in un campione, il bagnoschiuma regalerà un momento di relax e benessere, l’auto grintosa garantirà viaggi suggestivi e così via. Le aziende sembrano vendere dunque emozioni e possibilità, e in questo modo il rapporto con il cliente passa dalla semplice compravendita a uno scambio più complesso di esperienze e scenari di vita.