In un’epoca dominata dalla comunicazione immediata e continua, dalla condivisione di idee e dalla partecipazione attiva alle dinamiche sociali e politiche, non stupisce che anche da parte delle aziende ci si aspetti un impegno concreto, dimostrabile tramite campagne e azioni di CSR (Corporate Social Responsibility). Questo è ciò che emerge da un’indagine condotta nel 2010 da Landor Associates, Burson-Marsteller e Penn Schoen Berland, società specializzate in consulenza aziendale, pubbliche relazioni e strategie di comunicazione.
Stando ai dati raccolti, il 77% dei consumatori intervistati ritiene che la responsabilità sociale sia un elemento molto importante all’interno di un’impresa e il 56% di questi preferirebbe il prodotto di un’azienda socialmente impegnata rispetto ad un prodotto analogo. Non solo: il 76% dei consumatori considera accettabile che il sostegno di una buona causa da parte di un’azienda sia accompagnato da un ritorno economico. Addirittura, quasi la metà della parte più giovane del campione (sotto ai 34 anni) si dichiara disposta ad una riduzione di stipendio pur di lavorare per un’azienda socialmente responsabile.
Di fronte all’emergere di questa nuova realtà, l’88% delle aziende intervistate ha affermato che il marketing sociale e lo sviluppo di un senso etico costituiranno degli elementi fondamentali nella costruzione di un brand.
Risulta evidente, dunque, che la percezione da parte del pubblico di un marchio non si basi più - soltanto - sulla qualità dei suoi prodotti o serivizi, sull’insistenza e l’efficacia della comunicazione pubblicitaria, ma anche sul senso di responsabilità dell’azienda, sul suo interesse e rapporto con la società. Un impegno che non si limita a reclamizzare i propri prodotti in modo onesto e chiaro, ma richiede alle aziende di prendere una posizione rispetto alle tematiche sociali più dibattute.
I modi per dimostrare di possedere un certo senso etico sono molti. Il più comune, forse, consiste nella promozione di valori condivisi, così da far apparire l’azienda agli occhi del pubblico più umana e vicina. Inoltre, è molto frequente il tentativo di smuovere le coscienze ribadendo le responsabilità che ogni singolo individuo ha nei confronti del mondo che lo circonda. A volte, poi, la presa di posizione è decisamente più marcata e coincide con il sostegno a cause più specifiche, come la ricerca contro gravi malattie in campo medico, la lotta contro la fame e la povertà, le campagne a favore della pace internazionale, la salvaguardia dell’ambiente, ecc.
Tuttavia, in ambito pubblicitario, la responsabilità sociale d'impresa può sollevare delle questioni e delle controversie. Un caso comune è quello delle campagne che, pur pubblicizzando un prodotto, sono tenute a informare circa gli eventuali effetti dannosi che questo può avere sul consumatore: un esempio su tutti è la promozione dell’industria del tabacco che non può certo nascondere gli effetti nocivi del fumo, ma deve comunque riuscire, rimanendo nei limiti imposti dalla legge, ad attirare e convincere il consumatore all’acquisto.
Più rari, ma anche più seri, i casi in cui il sostegno o meno di una causa può avere dei risvolti politici. È esattamente ciò che sta avvenendo in questi giorni nelle città brasiliane, sconvolte dalle manifestazioni di protesta contro i mondiali di calcio in programma per il prossimo anno: le grandi multinazionali promotrici dell’evento si vedono imprigionate tra il bisogno di consenso popolare e la tutela dei propri interessi economici. Non sembra infatti una coincidenza che l’ex calciatore Pelé, idolo di tutti i brasiliani ma anche testimonial in patri della Coca Cola, abbia duramente attaccato la contestazione alla manifestazione sportiva.
Per il mondo della pubblicità si preannuncia, dunque, una scenario controverso, in cui i creativi dovranno saper trovare il giusto equilibrio tra la promozione di comportamenti socialmente responsabili e la tutela degli interessi aziendali.