La differenza tra marketing e ideologia: il caso Barilla

Scritto da Delmonte

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"Non farei mai uno spot con una famiglia omosessuale. Non per mancanza di rispetto ma perché non la penso come loro, la nostra è una famiglia classica dove la donna ha un ruolo fondamentale [...] Noi abbiamo un concetto differente rispetto alla famiglia gay. Per noi il concetto di famiglia sacrale rimane un valore fondamentale dell’azienda [...] Va bene, se a loro [i gay] piace la nostra pasta e la nostra comunicazione la mangiano, altrimenti mangeranno un’altra pasta. Uno non può piacere sempre a tutti [...] Io rispetto tutti, facciano quello che vogliono senza disturbare gli altri. Sono anche favorevole al matrimonio omosessuale, ma no all’adozione per una famiglia gay. Da padre di più figli credo sia molto complesso tirare su dei bambini in una coppia dello stesso sesso.”

Chi l’ha detto? Guido Barilla (presidente del gruppo omonimo). Davvero ha detto questo? Ma non si rende conto? Che omofobo! e che scivolone!

Ok, riprendiamo fiato, lasciamo passare l’indignazione del primo minuto, riflettiamo... Una domanda si insinua: trattasi davvero dell’ennesimo caso di spudorata omofobia? le sue parole sono state davvero così terribili? A giudicare dalle reazioni dell’opinione pubblica - soprattutto di quella online - sì. Difficile negare che si tratti di uno scivolone bello e buono per un’azienda che, fin dalla sua nascita, ha sempre cercato di costruire e mantenere una certa reputazione di marca.

A pochi minuti dalle dichiarazioni sopracitate, il mondo del web - non solo quello italiano - si è scagliato violentemente contro la Barilla, a volte in modo serio e concreto, nella maggior parte dei casi dando sfogo a ciò che agli utenti dei social network viene meglio: la parodia, l’indignazione fulminea, la presa di posizione basata sul comportamento di massa: se il cosiddetto “popolo del web” si indigna allora devo sentirmi indignato anche io. Su questo blog si è in più occasioni sottolineato quale impatto positivo abbiano avuto i social media nelle nostre vite e nella società, ma rimane pur sempre consigliabile valutare con la propria testa e con senso critico l’opinione generale espressa da un canale su cui l’ultima esibizione di Justin Bieber o Miley Cyrus viene più discussa della guerra in Siria.

Lasciando da parte le iniziative di boicottaggio dettate dall’entusiasmo dell’identificazione di un nuovo nemico (e comunque legittime) o la solidarietà interessata (vedi Garofalo) e ribadendo il fatto che si tratti di uno scivolone, in quanto argomenti così delicati come la discriminazione basata sull’orientamento sessuale vanno trattati coi guanti, è probabilmente corretto affermare che Guido Barilla non abbia fatto altro che esplicitare una scelta di marketing seguita (ma taciuta) da quasi tutte le aziende del settore.

Ogni azienda si rivolge a un determinato target di riferimento; e non è un segreto che quello della Barilla sia la famiglia tradizionale, in cui la madre rappresenta la responsabile d’acquisto. Perché? Perché, sebbene negli ultimi anni le cose stiano gradualmente mutando e si tratti di un target in forte diminuzione, la famiglia tradizionale (cioè quella famiglia composta da due genitori eterosessuali e dai loro figli) rappresenta ancora una categoria di consumatori rilevante e decisiva per i prodotti alimentari. “Ma l’Italia è cambiata. Non ci sono più solo famiglie tradizionali: ci sono i divorziati, le ragazze madri, gli studenti fuori sede, i pensionati abbandonati a una badante, e anche le famiglie omosessuali.” Vero, ma la Barilla non includerà nei suoi spot la famiglia omosessuale così come non includerà il pensionato con la badante. Non perché discrimini queste categorie, ma perché la pubblicità non deve rispecchiare la realtà nuda e cruda. Quanti di voi da bambini si svegliavano alle 7 di mattina in una casa invasa da un sole caldo che neanche il tramonto a Santorini e correvano felici in una cucina ricolma di ogni ben di dio dolciario preparato da una madre sorridente e vestita a festa?

Non è certo il primo caso di un’azienda colta in fallo a causa di dichiarazioni e comportamenti ambigui o, quantomeno, discutibili; tuttavia, forse è bene tenere sempre a mente la differenza tra prese di posizione ideologiche personali (e traslate alla marca), stereotipi, pregiudizi, e scelte di marketing dettate da una precisa strategia di posizionamento del brand. Qui, il vero passo falso di Guido Barilla sta tutto nell’ingenuità dimostrata nell’uso della parola “loro” riferendosi ai gay. Probabilmente senza rendersene conto, il presidente del gruppo ha trasformato quello che voleva essere un semplice pronome personale in un distanziamento e in una divisione in categorie: “loro” gli omosessuali e “noi” io Guido Barilla, Barilla e le famiglie tradizionali che comprano la nostra pasta.

Daniela Tomasino, presidente di Arcigay Palermo, ha dichiarato: “La Barilla negli ultimi decenni, con pubblicità e prodotti ha contribuito a condizionare il modello di famiglia nell’immaginario di milioni di Italiani. Ora sappiamo che si trattava di un modello ideologico, influenzato da odio e pregiudizi. Non posso non pensare che queste frasi siano emblematiche, in un Paese in cui l’impresa non assume su di sé nessuna responsabilità etica. Barilla sa che può diffondere il suo irresponsabile messaggio d’odio senza alcun freno: la legge glielo consente, e in Parlamento decine di “onorevoli” ne condividono le parole. Ne prendo atto, ma non mi rassegno. Io sicuramente da oggi sceglierò con più attenzione solo marchi locali, con principi etici più solidi: non voglio che i miei soldi arrivino a questa gente.”

Condizionato il modello di famiglia? Forse. Ideologia basata su odio e pregiudizi? Decisamente no. L’Italia è tuttora, purtroppo, un Paese altamente omofobico, ed è quindi normale che affermazioni simili possano suscitare scalpore e reazioni forti; ma la tensione esistente rischia alle volte di bollare come discriminatorie e intolleranti delle semplici opinioni personali.

Allora, forse, tutta questa diatriba potrebbe essere inserita all’interno di un dibattito più grande e generalizzato, che scaturisce dalla domanda: Qual è lo scopo della pubblicità? O meglio, la pubblicità deve solo vendere o anche educare?

C’è chi vede la pubblicità come il riflesso delle evoluzioni della società e chi, al contrario, la vede come una delle cause di queste evoluzioni.  Nel caso specifico, la domanda potrebbe diventare: la lotta all’omofobia deve partire dalla società o dalla pubblicità?

(Per un confronto con una posizione leggermente diversa leggi qui.)

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