Attraverso quelle attività mentali che identifichiamo come memoria noi immagazziniamo informazioni, immagini, associazioni e sensazioni. Ogni nostra funzione, cognitiva e non, è scandita dal ricorso più o meno estensivo alle nostre riserve mnemoniche. In ambito pubblicitario tener conto dei meccanismi che influiscono ricordi e richiami mentali è fondamentale per lavorare a rendere il più efficaci possibile le inserzioni. La memoria è considerata un fattore cruciale della psicologia della pubblicità, in quanto rappresenta il primo elemento da cui innescare una comunicazione prolungata col destinatario.
Innanzitutto c’è da dire che esistono diversi tipi di memoria. Alla memoria sensoriale, ad esempio, spetta la registrazione delle percezioni degli stimoli derivanti dai sensi. Questa dura però qualche secondo, è la più effimera, e solo se in quei brevissimi attimi una particolare suggestione sensoriale riesce a destare il nostro interesse o la nostra curiosità scatta poi la cosiddetta memoria temporanea, di durata di almeno 30 secondi. Arrivati a questo stadio si è già superata la soglia dell’attenzione dell’utente il quale, se lo stimolo a cui è sottoposto viene ripetuto, passa alla fase della memoria di lavoro. A questo punto l’elaborazione delle informazioni ricevute è già in atto e questa può diventare memoria a lungo termine se tutte le notizie necessarie rielaborazione e all’attribuzione del significato vengono assimilate, elaborate, immagazzinate.
Tutte queste fasi si succedono in modo estremamente veloce e, soprattutto, irrazionale. Se pensiamo ad uno spot, dunque, esso ha veramente pochissimo tempo per superare la semplice suggestione sensoriale (in questo caso su udito e vista, principalmente) e imporsi di seguito nelle altre fasi della memoria del destinatario. Il superamento della soglia d’attenzione, e quindi il passaggio dalla memoria temporanea a quella di lavoro, è influenzato da molteplici fattori spesso molto soggettivi o variabili: si va dal livello di coinvolgimento nel processo decisionale (chi non è direttamente responsabile degli acquisti spesso tende a un interesse minore per le pubblicità), alla rilevanza associata allo stimolo pubblicitario (selezionando a volte quali generi di prodotto interessano e quali no), alla condizione emotiva del consumatore in un preciso momento (la tristezza o la stanchezza riducono i livelli di efficacia della trasmissione).
Si deve aggiungere, poi, che molto del processo decisionale avviene già prima che una persona si renda conto di cosa accade nello spot o un manifesto: in un certo senso l’intelligenza emotiva “disturba” i processi cognitivi veri e propri e in qualche modo li devia già in una determinata direzione. Dunque sono le primissime immagini di uno spot o le primissime parole di un annuncio a indirizzare già la mente del fruitore verso un particolare tipo di predisposizione a memorizzarne il contenuto, a catturarne o meno immediatamente l’interesse.
Proprio a causa del fatto che ogni momento è diverso per il consumatore, la pubblicità agisce sulla memoria anche grazie alla ripetizione nel tempo: è dimostrato che più volte si sottopone l’attenzione a una stessa pubblicità, meglio essa rimarrà impressa (anche involontariamente); è importante anche la posizione, ad esempio, all’interno di un’interruzione pubblicitaria, in cui si ricorderanno meglio gli spot collocati appena dopo lo stacco e appena prima della ripresa di un programma, momenti in cui l’attenzione non si è ancora spenta o si sta riaccendendo; ancora, per facilitare il ricordo di un prodotto o di una marca è bene evitare l’affollamento di troppe inserzioni in uno stesso spazio o lasso di tempo.
In conclusione influire sulla memoria del consumatore è un aspetto della comunicazione pubblicitaria tanto cruciale quanto difficile da dominare. Ripetizione costante, grande impatto sensoriale, creatività, diversificazione e intelligenza nella trasmissione del messaggio sono le chiavi per far sì che il consumatore non perda la memoria.