Una delle scelte stilistiche pubblicitarie che è andata consolidandosi nel corso dell’ultimo ventennio consiste nel ricorso a testimonial molto famosi che, tuttavia, hanno lasciato questo mondo da un pezzo. Il celebrity endorsement raggiunge un nuovo livello: grazie alle nuove tecnologie digitali, infatti, è possibile rimodellare i volti e le movenze di personaggi scomparsi, facendoli apparire in luoghi a loro del tutto estranei in vita e attribuendogli frasi mai pronunciate - e che magari, potendo scegliere, non avrebbero mai voluto pronunciare -.
Da qualche tempo, dunque, vedere la gente morta non è più prerogativa esclusiva del bambino de Il Sesto Senso e di qualche medium; sarà capitato alla maggior parte di noi di incappare in uno spot televisivo in cui a garantire la qualità del prodotto reclamizzato era un cantante, un attore o un artista ormai deceduto da tempo.
Due esempi passati recentemente sugli schermi italiani, e che hanno riscosso un discreto successo, coinvolgono star del cinema americano e della musica. Nel primo caso, Lancia ricorre all’attrice Audrey Hepburn, insuperata icona di bellezza, classe ed eleganza, per pubblicizzare la sua Musa; l’obiettivo è chiaramente trasferire i tratti salienti della star hollywoodiana all’automobile.
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Sulla stessa linea si muove Citroen che, per lanciare il suo nuovo modello DS3, scomoda dall’aldilà figure del calibro di Marilyn Monroee John Lennon. Qui, però, le affermazioni antiretrò e antinostalgiche dei testimonial creano un effetto di contrasto rispetto alla loro stessa natura di figure del passato.
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Si tratta di un mercato dall’andamento altalenante, a seconda dei periodi, ma che, secondo alcune stime, arriva a muovere mediamente più di due milioni di dollari all’anno; tant’è che per misurare i margini di profitto dall’investimento nell’immagine di un Vip del passato è stato creato un coefficiente apposito, definito Dead Q score. Questo si rifà chiaramente al Q score, che misura il grado di popolarità e di attrattiva di un brand, una società, uno show televisivo o, appunto, una celebrità; più alto è il Q score, più successo riscuoterà tra il pubblico il soggetto in esame. Tra le varie declinazioni del coefficiente, il Dead Q score valuta precisamente la popolarità dei personaggi famosi defunti.
Scegliere come testimonial una star del passato rimane, comunque, una mossa rischiosa e controversa, in quanto sia i vantaggi che gli svantaggi nascono proprio dalla atemporalità caratterizzante il soggetto, dal suo essere “esotico” perché fuori contesto; come spiega Annamaria Testa, pubblicitaria ed esperta di comunicazione: “Scegliere per la pubblicità una star morta risolve due rischi: che il testimonial incappi in qualche scivolone nella vita privata, rovinando la sua credibilità, e che invecchi. Ma al tempo stesso cambia l'accezione classica di testimonial: un defunto non può ‘testimoniare’ l' uso del prodotto. Si crea così una specie di cortocircuito del senso. C'è un po' di science fiction in questo. Accade quello che già succede su internet: il tempo non esiste più. Tutto è contemporaneo e compresente, anche la Monroe”.
Un rischio ancora più frequente, che riguarda d’altronde qualsiasi campagna pubblicitaria, è che questa non incontri il gusto del pubblico. Spesso l’associazione di una figura amata con un prodotto di “scarso” valore, o comunque lontano dagli ideali che quella persona ha perseguito quando era in vita, può suscitare una sorta di fastidio, se non di indignazione, nello spettatore; cosa che ovviamente gli farà percepire in modo negativo il prodotto pubblicizzato.
Altre volte, è proprio il personaggio a scatenare le reazioni del pubblico, come è successo in Cile, dove in occasione della Festa del Papà del 16 Giugno scorso, la lotteria Kino ha scelto come testimonial il narcotrafficante Pablo Escobar, morto nel 1993. Qui, non si è ricorso a tecniche digitali, ma semplicemente ad un attore travestito e truccato a dovere. L’idea si è rivelata un vero disastro: la comunità colombiana residente in Cile si è indignata considerando l’uso dell’immagine di Escobar come un insulto alla storia del loro Paese e alle sofferenze subite a causa del narcotraffico. Tuttavia, la parodia ha raggiunto l’obiettivo che si era prefissa, ovvero creare una controversia, far parlare di sè, travalicando i confini nazionali e raggiungendo una certa notorietà in tutto il mondo.
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