Quando la pubblicità è controversa

Scritto da Paolo Armelli

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Le pubblicità migliori sono quelle che catturano l’attenzione del pubblico e aiutano a costruire un’immagine positiva e definita del brand, contribuendo alla migliore comprensione possibile del messaggio che si vuole veicolare. Per fare ciò molto spesso bisogna ricorrere a idee innovative e controcorrente. A volte troppo controcorrente, però, con il risultato di creare casi di pubblicità controversa: il rischio di produrre campagne eccessivamente fuori dal comune è quello di suscitare un tipo negativo di attenzione, causando così controversie e polemiche che distolgono in toto il focus dal prodotto commercializzato per concentrarsi solo sulla pubblicità in sé e i suoi problemi. Il fatto è anche che uno spot o un’inserzione devono sì tener conto del target a cui si rivolgono, ma finiscono con l’essere visti e interpretati da un pubblico più ampio, spesso con sensibilità e criticità differenti fra loro, a volta inconciliabili.

Nella storia della pubblicità i casi di pubblicità discutibili sono numerosissimi. Molto recente è quello della Hyundai che, per lanciare il crossover ix35, nel suo ultimo spot ha descritto con grande realismo il tentativo di suicidio da parte di uomo, il quale, dopo essersi chiuso in garage e aver attaccato un tubo allo scarico, fallisce nel suo obiettivo di intossicarsi in quanto l’auto produce vapore acqueo e non gas di scarico nocivi. Associazioni e anche semplici consumatori si sono indignati per la strumentalizzazione di una tematica così delicata e la stessa casa automobilistica si è vista costretta a ritirare la campagna e a riconoscere che essa non rappresentava i valori dell’azienda.

Quando ci si muove nel campo dell’etica e della morale, anche le armi dell’ironia possono risultare provocatorie ma nient’affatto divertenti: il pensiero va a una campagna della catena di fast food Burger King che pubblicizzava un suo nuovo panino di lunghezza extra, accostandolo nell’immagine alla bocca spalancata di una ragazza dalle fattezze di una bambola gonfiabile; l’indignazione del pubblico sottolineava l’esplicito riferimento sessuale (aggravato dal claim “It’ll blow your mind”) e dall’ennesima rappresentazione mercificata della donna.

L’elenco potrebbe continuare a lungo. Ci si limita a ricordarne uno di proporzioni eclatanti: il sito di offerte Groupon nel 2011 volle approfittare dei preziosissimi spazi pubblicitari del Super Bowl per lanciare la sua attività in America; i tre spot consistevano nel classico video in cui la star di turno cercava di sensibilizzare su un tema di particolare importanza (la caccia alle balene, la deforestazione ecc.), salvo poi cambiare repentinamente tono con frasi del tipo “È importante pensare alla popolazione del Tibet, ma ancor di più gustarsi il loro pesce al curry grazie agli sconti di Groupon”. Le polemiche infuriarono selvagge e a poco bastò la marcia indietro del sito internet.

Esistono però anche alcuni casi italiani. Nei mesi scorsi si è molto parlato, ad esempio, dei manifesti affissi da un’azienda campana produttrice di strofinacci. Lo slogan recitava “Elimina tutte le tracce” e ritraeva un uomo con un panno in mano, seduto sul letto in cui giace riversa una donna nuda e apparentemente senza vita: il riferimento palese a un fenomeno sociale molto scottante in questi tempi in Italia, come quello della violenza sulle donne, ha fatto infuriare un grande dibattito che ha portato all’intervento del ministro Fornero e al ritiro dei manifesti.

C’è chi afferma che suscitare polemiche è comunque un modo per rimanere impressi nella mente dei consumatori. Però l’altra faccia della medaglia è quella di legare per molto tempo un brand a un’immagine negativa e dunque controproducente. Bisognerebbe imparare ad essere provocatori ma con creatività, ironia e genialità, come ha fatto la Chiesa di Brooklyn che, per arginare l’emorragia di fedeli, ha ideato una campagna in cui Gesù rinnova il suo look come un moderno hipster. Singolare, garbato e di effetto.

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