I grandi successi, soprattutto se riguardano fenomeni di massa, si sa, sono destinati ad affrontare anche una parabola discendente. Da anni, ad esempio, periodicamente si sente parlare di una crisi di Facebook. Spesso sono solo titoli esagerati frutto di semplificazioni giornalistiche, ma qualcosa di vero in queste considerazioni ci sono: il social network fondato nel 2004 dallo studente scapestrato Mark Zuckerberg, che ha raggiunto in pochi anni un bacino di oltre un miliardo di utenti e un fatturato di più di 5 miliardi di dollari, sembra per certi versi un gigante dai piedi di argilla.
In apparenza in questi anni Facebook ha cavalcato una crescita inarrestabile, divenendo il secondo sito più visitato negli Stati Uniti, conquistando mercati in ogni parte del mondo (con l’eccezione, comprensibile, della Cina) e aumentando iscritti, influenza e pubblicità. Già nel 2011, però, si iniziavano ad avvertire i segnali di una certa crisi del social network: il prestigioso magazine economico Forbes, in un articolo intitolato esageratamente “The End of Facebook”, sottolineava come si potesse riscontrare una certa stanchezza da parte di molti utenti che iniziavano a usare il sito con meno frequenza o addirittura a cancellarsi; sebbene all’epoca continuassero ad aumentare le visite e gli utenti iscritti, ci si domandava giù se questa crescita non andasse incontro presto o tardi a una battuta d’arresto.
I problemi seri per Facebook, in ogni caso, sono iniziati con la quotazione in borsa avvenuta nel marzo 2012: quella che doveva essere l’operazione più fruttuosa dell’era 2.0 si è rivelata invece un fiasco imprevisto quanto notevole, con il titolo che in venti giorni perse il 30% del suo valore in borsa, bruciando poi in tre mesi 50 miliardi di capitalizzazione e arrivando a un minimo storico di 17 dollari per azione contro i 40 inizialmente previsti. E se gli utenti continuavano a crescere (da 700 a 901 milioni solo quell’anno), i profitti languivano soprattutto per la diffusione esponenziale del traffico web su smartphone e tablet a cui il management di Zuckerberg ha fatto fatica ad adeguarsi tempestivamente dal punto di vista pubblicitario.
In questi mesi, fra alti e bassi, Facebook ha resistito tutto sommato alla concorrenza delle ondate di successo di altri social network più innovativi e immediati, ma recentemente è tornato a soffrire condizioni non proprio favorevoli. Alcune stime riportano che, nei soli States, Facebook abbia perso fra i 6 e i 9 milioni di iscritti. Ciò può essere causato dai continui cambi di interfaccia che hanno confuso molti utenti, dalle polemiche sorte a più riprese sulla tutela della privacy e sulla gestione di pagine fan non appropriate, ma il centro della questione è soprattutto l’approccio rinnovato e più aggressivo di Facebook nei confronti della pubblicità: per sfruttare al meglio le possibilità della fruizione mobile del social network si sono moltiplicati in questi mesi i post sponsorizzati e i link promozionali, che non sono passati indifferenti ai navigatori che si son visti confondere fra i loro status personali o le condivisioni di amici numerose inserzioni pubblicitarie. Un’altra operazione che sta dando dei pensieri a Zuckerberg e soci è poi il lancio di Facebook Home, l’interfaccia per smartphone volto a ottimizzare e globalizzare l’approccio al social ma che ha ottenuto per ora recensioni abbastanza tiepide.
Significa dunque che la crisi di Facebook è imminente e tutta la concentrazione di marketing e attenzione mediatica su di esso sta per essere sconvolta? In realtà no, almeno in tempi brevi e nemmeno in tempi mediolunghi: ad esempio il mercato italiano di Facebook è ancora piuttosto resistente: negli ultimi mesi il numero di mi piace e di tag, anche a pagine promozionali, è cresciuto con un +2%. Inoltre bisogna fare una considerazione globale: nel campo tecnologico il successo di alcuni fenomeni finisce solo se essi sono superati da altri più efficienti e innovativi; per ora Facebook rimane un’esperienza social di comunicazione globale e ancora fortemente integrata al nostro stile di vita (Twitter è sì un concorrente temibile ma su alcuni aspetti particolari e per un pubblico più selezionato), quindi finché all’orizzonte non si prospetteranno alternative estremamente forti, forse è meglio aspettare prima di togliergli l’amicizia.