Nella costruzione dell’architettura di marca rientrano tutte quelle operazioni comunicative, di immagine e di marketing, che fanno in modo di organizzare i vari brand all’interno del portfolio di un’azienda e delle loro relazioni con il corporate brand principale. In quest’ottica sono spesso fondamentali iniziative di rebranding, in particolare quando intervengono casi di fusioni, acquisizioni di marchi o semplicemente di riorganizzazione degli equilibri interni, per far sì che l’immagine aziendale rimanga coerente ed efficace.
Quando si tratta di coordinare l’immagine del corporate brand principale con quello dei vari product brand a lui sottoposti si possono seguire essenzialmente due strategie: quella dell’integrazione, ovvero la tendenza di allineare l’aspetto dei brand inferiori a quello del marchio principale; o quello della separazione, mantenendo indipendenti l’estetica e la denominazione dei vari brand. Da questo punto di vista si possono individuare diversi casi esemplificativi a seconda di come queste due strategie si alternino: c’è il marchio monolitico, in cui vediamo un singolo brand declinarsi in ogni prodotto o servizio prodotto dalla compagnia, qualunque sia la sua peculiarità o il suo mercato (è il caso della Virgin, con Virgin Records, Virgin Airlines, Virgin Megastores ecc.) - è questo il caso più lampante di una strategia integrativa; simili sono i marchi ombrello, ovvero uno stesso brand utilizzato in varie declinazioni ma riguardanti lo stesso ambito merceologico (un esempio può essere quello di FedEx con FedEx Express, FedEx Office ecc.); dal capo opposto, frutto di una totale strategia separativa, abbiamo i brand prodotto, in cui la connessione fra ogni singola marca e la sua casa madre è implicita e mai dichiarata, salvo campagne cumulative eccezionali (è il caso di multinazionali come Unilever, P&G ecc.); infine esistono casi di marchi ibridi, che sviluppano cioè una filiera di marchi correlati ma ne inglobano anche altri che mantengono una loro indipendenza (la Disney, ad esempio, oltre a brand come Disney Channel, Disney Movies ecc. detiene la proprietà di marchi affini ma non palesi come Miramax, Touchstone Television, Abc ecc.).
A queste situazioni del portfolio marchi si è arrivati attraverso graduali operazioni di rebranding o allineamento dell’immagine. Il rebranding in particolare è cruciale nei casi di fusioni e acquisizioni, in quanto queste operazioni garantiscono una connessione fra la società acquirente e le nuove acquisite, spesso estendendo l’immagine aziendale e il suo bagaglio di marca ai brand appena introdotti. Anche in questo caso le strategie possono essere variegate: adottare un solo brand per tutte le aziende incorporate (è stata la scelta di Vodafone, che ad esempio ha acquistato l’italiana Omnitel e ne ha progressivamente assorbito il marchio); integrare i brand derivanti dalla fusione in una joint strategy, utilizzandoli sia integrati a livello istituzionale che separati a livello commerciale (è il caso di Daimler-Chrysler, Renault-Nissan, Palmolive-Colgate ecc.); altrimenti si può decidere di inglobare i brand in modo totale creando da zero un nuovo brand e una nuova immagine, magari più semplice e accattivante (è il caso delle farmaceutiche Rhone-Poulenc e Hoechs fuse in Aventis, delle compagnie energetiche Standard Oil e Gulf che hanno originato la Chevron, dei canali statunitensi Upn e The Wb che si sono uniti in The CW ecc.).
Ma il rebranding a volte non interessa solo aziende che subiscono cambiamenti societari: recente è la notizia dell’enorme rinnovamento in previsione per il gruppo del lusso francese PPR (proprietario di marchi come Gucci, Bottega Veneta e Saint Laurent) che ha deciso di darsi il nuovo nome di Kering. Una scelta sicuramente coraggiosa che dimostra anche la volontà di asserire in modo nuovo e più deciso l’immagine del gruppo: quali saranno i risultati ovviamente è tutto da vedere.