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Luciano Tolomei

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Nielsen inizia a rilevare le case zero-tv

Le abitudini dei consumatori cambiano estremamente in fretta, negli ultimi anni sempre di più. E a questi cambiamenti si devono adeguare anche coloro che, per professione, rilevano, studiano e analizzano i dati riguardanti gli utenti, da seguire sempre con molta attenzione. Questo è il caso, ad esempio, della Nielsen, società leader mondiale nelle informazioni di marketing e nella rilevazione di dati sui consumi e sull’utilizzo dei media: dallo ultimo quadrimestre dell’anno scorso, infatti, ha introdotto un nuovo criterio di valutazione delle famiglie americane, coniando l’espressione “Zero-Tv household” e commissionando uno studio apposito per monitorare questi mutamenti.

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L'originalità del guerrilla marketing

Quello della pubblicità è un mondo in continua evoluzione e solo il ricorso alla creatività e all’ingegno possono garantire successi che durino nel tempo e si adattino alle situazioni non sempre facili del mercato. Mettere in campo originalità e coraggio può essere utile per affrontare anche i momenti di crisi. Potrebbe essere questo il motore che sta dietro al grande sviluppo, negli scorsi decenni, del cosiddetto guerrilla marketing. Nato negli Stati Uniti e teorizzato dal pubblicitario Jay Conrad Levinson, questo approccio si basa sulla assoluta non convenzionalità delle modalità di comunicazione pubblicitaria, soprattutto realizzando progetti dal costo limitato. Dovendo contare su un budget non amplissimo, si sfrutta lo sforzo creativo per far leva sull’immaginario e sui meccanismi psicologici dei destinatari, molto spesso ricorrendo a metodi inusuali, trasgressivi e inaspettati.
Avendo potenzialità di immagine molto elevate, il guerrilla marketing ha anche i suoi aspetti più problematici: ad esempio è spesso meglio focalizzare questo tipo di azioni su un periodo di tempo limitato (limitatissimo) e su una scala piuttosto locale - proprio come se fossero vere e proprie operazioni di guerriglia - in modo da contare sull’effetto sorpresa e sulla capacità di risonanza provocata da un evento curioso e imprevedibile; questo però permette di raggiungere, con l’operazione pubblicitaria, un numero estremamente ristretto di consumatori. È dunque molto utile documentare tutte le fasi della breve esperienza di guerrilla e usare le potenzialità messe in campo dai social network per fare da cassa di risonanza agli eventi organizzati.
Più nel concreto, il guerrilla marketing consiste nell’organizzazione di flash mob improvvisati, nell’uso di installazioni pop-up o momentanee, nella distribuzione di sticker, adesivi o coperture originali. In realtà più è nuovo e inaspettato il modo e gli strumenti attraverso cui avviene la comunicazione, più le possibilità che il guerrilla marketing sia di successo sono elevate.
Lo sa bene Coca Cola, che ha sfruttato un’idea semplicissima ma mai usata prima in pubblicità per promuovere le sue nuove bottiglie dalla conformazione ruvida, in modo da permettere una migliore impugnatura: per trasmettere il messaggio, sui manifesti pubbliciatari in alcune stazioni dei bus sono stati incollati dei pezzi di velcro in modo che i passanti rimanessero impigliati e vivessero la stessa esperienza di “solida presa” garantita dalle nuove bottiglie.

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Le società che misurano l'audience

Uno degli aspetti più importanti nel pianificare una campagna pubblicitaria è prevedere la quantità di pubblico che un dato veicolo commerciale permette di raggiungere. In questo modo è possibile calcolare quanti inserzioni è necessario mettere assieme per coprire nella sua interezza il target prefissato. Per fare ciò è importante avere dati aggiornati, oggettivi e validi per tutti sull’efficacia di un dato mezzo di comunicazione, soprattutto in termini di audience raggiunta.

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ROI e KPI

La fase finale di una campagna pubblicitaria prevede il bilancio dell’efficacia della campagna stessa. In particolare si fa riferimento al ROI (return on investments) che è l’indice di redditività del capitale investito. In altre parole è il calcolo del guadagno effettuato rispetto alla spesa investita: si ottiene dividendo il risultato operativo (il margine senza ammortamenti e accantonamenti) per il capitale operativo investito. Molto spesso questo dato è espresso in percentuale, esprimendo quanto una determinata operazione commerciale ha fatto guadagnare.

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Gli effetti della pubblicità e il Brand awareness

Uno degli scopi di investire nella pubblicità è quello di far conoscere un prodotto al fine di aumentarne la performance commerciale, e quindi sostanzialmente le vendite. Ma la pubblicità non veicola solo questo e, anzi, molto importante è il contributo che dà nel costruire l’immagine e la conoscenza di una certa marca. Questa notorietà di marca, o brand awareness, definisce la riconoscibilità di una certa azienda e l’impatto che la produzione pubblicitaria ha sul consumatore.

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La struttura di un brief d’agenzia

Il brief d’agenzia è un documento che sintetizza e contestualizza le informazioni ricevute dal cliente nella prima fase della realizzazione di una campagna pubblicitaria, in modo da fornire al reparto creativo un punto di riferimento organico e coerente sulle idee da sviluppare. La sua struttura, che deve essere concisa, esauriente e organizzata, spesso varia sensibilmente ma, in generale, le informazioni da richiedere al cliente sono le seguenti:

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Il brief creativo

Quando si organizza una campagna è importante che l’agenzia pubblicitaria abbia ben presente non solo le informazioni relative al prodotto o la marca da pubblicizzare, ma anche sull’azienda in generale, sulla sua storia, sui suoi punti di forza e soprattutto sul modo in cui questa azienda vuole comunicare e relazionarsi col pubblico.

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Pubblicità che raccontano storie

 

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Dal piccolo schermo al multischermo

Sembra ormai una realtà consolidata quella di affiancare alla visione tradizionale dei programmi televisivi l’utilizzo di un altro device come ad esempio smartphone, tablet e altri device multimediali. Basti pensare che sul finire del 2011 il 40% degli Americani usava questi dispositivi mentre era di fronte al televisore.
Ma è soprattutto l’abitudine a seguire la televisione a cambiare radicalmente con questi nuovi mezzi: sempre negli Stati Uniti il 42% e il 40% della popolazione usano rispettivamente un tablet o uno smartphone come “second screen” mentre guardano la tv; secondo una ricerca di TvGuide il 15% degli intervistati inizia a seguire un programma televisivo perché sollecitato da un social network. Il fenomeno è una realta in crescita anche in italia come dimostrano i recenti dati sul festival di sanremo.
Gli utilizzi di device come secondo schermo da integrare alla semplice fruizione televisiva sono commercialmente interessanti perché, nella loro varietà, possono essere impiegati per rafforzare il rapporto fra emittenti e telespettatori, inserzionisti e telespettatori ma anche per offrire agli utenti nuovi e migliori modi per interagire coi contenuti. La visione di un programma tv, ad esempio, può invitare a verificare offerte o cercare informazioni su prodotti visti negli spot, o invoglia a verificare con più cura notizie di attualità o risultati sportivi, oppure soprattutto stimola l’interazione sui social network per avere feedback o condividere commenti.

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Il consumatore multicanale

L’apertura della comunicazione alla multicanalità prevede che la decisione d’acquisto e la relazione con la marca si svolgano attraverso l’uso sincronizzato dei diversi media, al fine di creare sinergie comunicative e migliorare l’efficacia nei confronti del consumatore.

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