Da qualche mese a questa parte, sia in rete che in occasione di conferenze e convention dedicate al mondo digitale e al marketing, non si fa altro che parlare di Big Data: si cerca di darne una definizione univoca e condivisa, si prova a valutarne il potenziale, si ipotizzano possibili scenari futuri... Ma cosa sono in realtà questi Big Data?
Essenzialmente, si tratta dell’insieme di tutti i dati in formato digitale esistenti e prodotti da una qualsiasi operazione informatica, dall’inserimento dei propri dati online, all’aggiornamento del proprio status su Facebook, alle attività di e-commerce, ecc. Con lo sviluppo di nuove tecnologie, l’accelerazione di internet nelle sue forme più disparate, i sistemi cloud, i social media, questo universo di informazioni ha subito un aumento esponenziale, sia a livello quantitativo che qualitativo. Secondo i risultati forniti da IBM, il 90% dei dati disponibili al momento nel mondo sono stati prodotti negli ultimi due anni e ogni giorno vengono creati 2,5 quintilioni di byte (se la cifra non vi dice molto, fate conto che un quintilione è pari a un miliardo di triliardi, ovvero 10 elevato a 30), che possono corrispondere più o meno al download di mezzo miliardo di film in HD.
Volendo però dare una definizione più precisa di Big Data, si può ricorrere alle parole di Vincenzo Cosenza, analista del web, il quale spiega che “con il termine Big Data si intendono base dati che hanno tre caratteristiche peculiari: volume, velocity, variety.
[rb_list type="plus"][rb_list_item]Volume: nel senso di ingenti quantitativi di data set non gestibili con i database tradizionali[/rb_list_item]
[rb_list_item]Velocity: dati che affluiscono e necessitano di essere processati a ritmi sostenuti o in tempo reale[/rb_list_item]
[rb_list_item]Variety: ossia dati di diversa natura e non strutturati come testi, audio, video, flussi di click, segnali provenienti da RFID, cellulari, sensori, transazioni commerciali di vario genere.[/rb_list_item][/rb_list]
Dunque si tratta di qualcosa di molto più complesso, che coinvolge la capacità di incrociare dati non solo provenienti dal web, ma anche da archivi ‘offline’ o dagli oggetti che utilizziamo”.
Appare evidente come, di fronte a questa nuova realtà, informatici, analisti, ma anche aziende e marketer si interroghino su cosa farne di una così grande mole di informazioni, su come gestirle e su come trasformarle in uno strumento di profitto. Le imprese che sapranno trovare le risposte a tali quesiti si troveranno certamente in una posizione di vantaggio rispetto ai propri concorrenti e assumeranno la configurazione di aziende datarate che, parafrasando la definizione di Hal Varian, Chief Economist di Google e coniatore del termine, non solo hanno le capacità di raccogliere dati, ma anche quella di analizzarli e utilizzarli per conoscere in modo più approfondito la propria clientela. Ciò che manca al momento pare essere proprio il controllo delle informazioni e la capacità di analisi; a conferma di ciò arriva un’affermazione dal sito della Harvard Business Review che, parlando della figura dell’analista di dati, la definisce “the sexiest job of the 21st century”.
Guardando al presente, una ricerca condotta negli Stati Uniti da SAS e dal CMO Council rivela che il 71% dei direttori marketing intervistati si è avvalso dei Big Data per delle analisi predittive circa il comportamento dei segmenti del target potenzialmente più profittevoli, mentre circa la metà li ha usati per definire in modo più dettagliato il profilo dei propri clienti; infine, meno della metà del campione ne ha fatto uso per migliorare il servizio di assistenza al cliente e per monitorare gli eventuali feedback espressi sui social network.
A sottolineare, però, l’altra faccia della medaglia ci pensano gli stessi direttori marketing intervistati, dei quali ben il 61% afferma di essere ben lontano dall’utilizzare a pieno questa nuova risorsa e che la gestione di una grande quantità di informazioni eterogenee, che provengono da diverse varietà di canali digitali (sistemi di CRM, strumenti di analisi, ecc), può portare ad un dispendio di tempo e di energie per portare a termine lunghe analisi, che possono alle volte anche rivelarsi inutili.
Al di là di congetture e previsioni, i Big Data rappresentano certamente una novità nel mondo del marketing carica di promesse e aspettative: secondo il report Big Data Vendor Revenue and Market Forecast 2012-2017, il valore del mercato relativo ai Big Data si aggirerà intorno ai 18 miliardi di dollari nel solo 2013 e raggiungerà i 47 miliardi nel 2017.